- Noi religiosi, esplicitamente chiamati ad essere padri e fratelli, abbiamo un compito di primaria importanza nell’essere una ben unita famiglia in Cristo; è un compito di responsabilità e di coordinamento inerente alla fedeltà e allo sviluppo del carisma, di animazione spirituale e formazione dei laici.
- I laici, consapevoli della dignità battesimale, chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità, sono invitati a condividere il carisma e a partecipare all’unica missione educativa affidata alla comunità; nel rispetto delle competenze professionali, delle diversità delle circostanze e dello stato di vita, possono giungere anche a corresponsabilità direttive e gestionali.
- I giovani sono sollecitati progressivamente a vivere da protagonisti il cammino educativo. In sintonia col Murialdo che ha dato loro fiducia e ha fatto leva sulle potenzialità insite in essi, occorre puntare sulla responsabilizzazione ed agire con loro piuttosto che per loro.
- mettersi a servizio dei giovani con semplicità e con fiducia nella consapevolezza di essere strumenti nelle mani di Dio, convinti che l’educazione cristiana è opera sua e noi ne siamo intermediari;
- accettare noi stessi e gli altri, con le capacità e i limiti, i successi e gli errori, nella consapevolezza che l’ideale perseguito non è mai pienamente raggiunto;
- applicarsi con dedizione e laboriosità instancabile, caratterizzata dal fare e tacere, dalla gratuità e dal sacrificio che porta a dare la vita per chi ha bisogno.
La carità è altra prerogativa fondamentale per i giuseppini. Lo stare in mezzo ai giovani secondo lo stile del Murialdo ci porta a prediligere gli ultimi. La scelta di dedicarsi “ai giovani poveri, abbandonati e maggiormente bisognosi di aiuto e di cristiana educazione” non costituisce solo il campo di apostolato proprio della nostra Congregazione, ma indica anche un ben determinato stile di rapporti e di educazione, che porta l’educatore a dedicarsi con maggior cura a quei giovani che tra tutti si dimostrano i più poveri, gli ultimi, o quelli che, come si dice, “fanno più disperare”, amandoli più degli altri proprio perché più bisognosi di aiuto. Alla carità devono essere affiancate rispetto e dolcezza. Come diceva il Murialdo: “bisogna diffondere tra noi lo spirito di dolcezza, di amorevolezza, di familiarità, di pazienza coi giovani”. “Tutti hanno il compito di attirare i fanciulli a Dio ed i fanciulli non si attirano a Dio con altra calamita fuor di quella della dolcezza. Studiamoci dunque di avere sempre, quando trattiamo con essi, un volto ilare, un tratto cortese, un parlare grazioso, affabile, affettuoso”. Gli educatori giuseppini “ricorderanno che solo con la dolcezza guadagneranno il cuore dei loro ragazzi…” Carità è quindi: servizio generoso a favore dei piccoli e dei poveri a cui appartiene il Regno di Dio, con la disponibilità a perdere noi stessi per accogliere chi è più in necessità; uno stile di rapporto segnato da rispetto e dolcezza; l’atteggiamento che informa di sé le diverse scelte metodologiche, caratterizzando la nostra pedagogia come pedagogia dell’amore.